Comunicare la sostenibilità ambientale evitando di fare «greenwashing»

Che cosa si intende per greenwashing?

La Commissione europea ha definito il greenwashing come l’appropriazione indebita di virtù ambientaliste finalizzata alla creazione di un’immagine verde tramite pratiche commerciali sleali nei confronti dei consumatori, che vengono così ingannati. 

Indicazioni green quali “amico dell’ambiente” o “biodegradabile” proliferano sulle etichette e nella comunicazione pubblicitaria di numerosi prodotti, ma in base ad una recente analisi della Commissione europea, il 42% di esse è ingannevole, perché non supportato da evidenze concrete in termini di effettivo impatto ambientale del prodotto commercializzato.

Esiste una normativa riguardante il greenwashing?

Non esiste una normativa armonizzata a livello UE sul marketing ambientale, ma il punto di riferimento è rappresentato dalla Direttiva 2005/29/CE, che ammette l’utilizzo di affermazioni di eco-sostenibilità solo se non ingannevoli né vaghe e generiche, ma verificabili alla luce di criteri oggettivi e scientifici

In Italia il quadro normativo è dato dalla Legge n. 221/2015 sulla green economy nonché dal Codice del Consumo (D.lgs 206/2005) e dalle norme sulla concorrenza sleale (art. 2598 cod. civ.). Per reprimere le pratiche commerciali sleali si può richiedere l’intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che può emettere sanzioni edittali fino a 5 milioni di euro.

La Legge di Stabilità 2016 ha poi introdotto una nuova forma giuridica, le Società Benefit, che nello Statuto, accanto alle normali finalità di profitto, prevedono anche finalità di beneficio comune nei confronti della comunità e dell’ambiente, a fronte di un credito d’imposta del 50% sui costi sostenuti per la loro costituzione o trasformazione.  

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